venerdì 2 dicembre 2011

Intervista a Rickard Falkvinge, fondatore del partito pirata svedese

Intervista di Stefano Bocconetti 

Un’intervista difficile, difficilissima da raccontare. Non per il personaggio, civile, pacato e disponibile come pochi. Ma difficile lo stesso perché non si usa lo stesso linguaggio. Non si usano le stesse categorie. Lui non conosce destra o sinistra, governo e opposizione. O meglio le riconosce quando parla del passato, dei decenni scorsi. Il suo schema interpretativo oggi però ruota attorno ad altre “categorie”: controllo contro libertà, monopolio contro condivisione dei saperi e via così. Rickard Falkvinge, fondatore del partito pirata svedese, ha alle spalle una storia strana. Quarant’anni esatti, da studente faceva parte della “Lega moderata dei giovani”, qualcosa come la “maggioranza silenziosa” o giù di lì. Poi la laurea, il lavoro. Addirittura l’incarico come capo progetto alla Microsoft. Infine, la svolta. Al punto da diventare il peggiore incubo della Microsoft. In Svezia nasce Pirate Bay, la Baia dei Pirati.
Un “luogo” virtuale dove centinaia di migliaia di utenti teorizzavano il loro diritto a scambiarsi conoscenze, saperi, immagini, suoni. Dove teorizzavano il loro diritto a scambiarsi file. Molti dei quali – a detta delle major – coperti da copyright. Da queste esperienza – che continua a turbare i sonni dei padroni della musica e del cinema – è nato il partito pirata svedese. Fondato da Rickard e un gruppo di amici. Esordì in sordina, poi alle ultime europee il boom: nel 2009 ottenne il 7 e passa per cento, e ha mandato due rappresentanti a Strasburgo. Il successo non sarà ripetuto alle politiche svedesi l’anno scorso ma ormai il segnale era stato lanciato in tutta Europa. Fino ad arrivare a pochi mesi fa, allo straordinario successo (dieci per cento) dei pirati alle elezioni di Berlino. Rickard Falkwinge però decide che è arrivato il momento di uscire di scena. Lascia l’incarico di segretario del partito svedese - il suo posto verrà preso da una donna, Anna Troberg - e per sé disegna un altro ruolo. Una sorta di missionario, di “grande (giovane) vecchio” che va in giro per il mondo a raccontare cos’è la cultura della condivisione. A raccontare e ad ascoltare. Pochi giorni fa era a Trento, una buona occasione per parlarci.

Dunque Falkvinge, c’è un’Europa che pare abbia deciso di sospendere la democrazia, dove sembra che le sole regole esistenti siano dettate dalla Banca centrale, dal potere finanziario. Dove sembra regnare incontrastata un’unica ricetta economica. E allora ti chiedo: ha senso in questa situazione progettare, pensare un’alternativa? Ha senso porsi l’obiettivo dell’ingresso al governo? 

 “Non sono molto d’accordo con l’impostazione che traspare dalla tua domanda. Mi pare di capire che tu consideri questa crisi figlia del liberismo. Ma per me l’attuale crisi non dipende dal capitalismo, è qualcosa di meno e di più nello stesso tempo: è il frutto di un gigantesco meccanismo di corruzione. Dove pochi banchieri e molti politici sono in grado di imporre le loro leggi. Di imporle con la corruzione. Comunque, la domanda è un po’ strana e ha bisogno di diverse risposte…”

Proviamo a darle tutte.

 “Se tu mi chiedi se una forza innovativa come la nostra possa far parte di una coalizione ti rispondo di si. Possiamo far parte di una coalizione, e ti dico di più: possiamo accettare il principio che con altre forze si possa non condividere ogni singolo aspetto dei programmi. A patto che loro, gli altri, si impegnino a sostenere, e a votare, le nostre proposte così come noi faremo con le loro. E ancora: credo che sia un problema reale quello delle coalizioni, che dovremmo porci, perché credo che se non porti a casa risultati, rischi di perdere consenso. Visto come sono pragmatici i pirati? Ma non credo che fosse questo il senso della tua domanda…”.

 Infatti, volevo sapere se ha senso oggi per una forza nuova – un partito “trasgressivo”, fuori dagli schemi, proprio come sono i pirati - porsi l’obbiettivo di entrare nella stanza dei bottoni. Tanto più che nessuno ti permetterà di schiacciarli…

 “E’ una domanda che non è d’attualità per il movimento dei pirati. Ma non la eludo e ti rispondo così: credo che sia possibile combattere l’abnorme potere della finanza. Ce lo insegna la storia di questi decenni…”.

Ma come? Proprio tu ti rifai alle esperienze del secolo scorso? 

“Io dico che ogni “tot” anni appare sulla scena politica e sociale un movimento nuovo, che sfida poteri considerati fino a quel momento intoccabili. Così è stato per il movimento laburista, che ha sfidato nientemeno che il diritto di proprietà dei padroni delle fabbriche. E ha vinto…”. 


 Ha vinto?

“Sì, ha vinto. Nel senso che ha posto una questione, quello della redistribuzione, che è entrata nella coscienza delle persone. E dopo il movimento socialista, sulla scena quarant’anni fa è apparso il movimento dei verdi. Che ha sfidato nientemeno che i padroni della terra, i trust che controllavano le risorse petrolifere. E anche lì, i verdi hanno vinto, tanto che il tema delle risorse alternative è ormai entrata nell’agenda dei grandi della terra. E ora arriva il movimento dei pirati. E’ inevitabile che sia così, così come è inevitabile che fra qualche anno, arriverà una nuova spinta a superare tutto quel che c’è stato prima”. 


 E i “pirati” vinceranno andando al governo o diffondendo nella pubblica opinione il diritto ad una cultura condivisa?

“Vinceranno sfidando questa finanza corrotta. Come? Sottraendo loro spazio, ruolo. Attaccando sul loro stesso terreno…”.


Più nel dettaglio? 

“Vuoi un esempio? Penso a quello straordinario fenomeno che chiamiamo bitcoin. Si, penso a quella moneta elettronica che già oggi, già adesso può garantire transazioni invisibili, non tracciabili, anonime. Di più, parlo di quella moneta elettronica, nata da un’intuizione di Satoshi Nakamoto, e basata su un software open source, che di fatto riduce il potere delle autorità centrali monetarie.(*). E stiamo parlando di un fenomeno che nella primavera di quest’anno, già rappresentava un’economia stimabile in sette milioni di dollari. Questa è la strada: sottrarre spazio ai centri di potere, creare alternative. Immaginare e realizzare altri modi di vita. Fuori dal loro controllo”.

  Creare spazi alternativi. Quindi anche fuori dalla politica tradizionale, dai vecchi luoghi della rappresentanza politica?

 “Si possono fare tutte e due le cose. Ce lo dice proprio la nostra storia. Siamo “atterrati” volando sotto il livello dei radar. Non eravamo rintracciabili. Non si sono accorti di noi ma siamo atterrati. Nel Parlamento di Strasburgo, a Berlino e fra un po’ in tanti altri posti. Siamo arrivati e per loro è già l’inizio della fine. Perché i detentori del copyright e le loro espressioni politiche-finanziarie sanno bene che non potranno più difendere i loro privilegi e i loro guadagni. Perché sono antistorici, superati. Proveranno a difendersi ma la loro storia è segnata. Magari qualcuno proverà ad adattarsi, a nascondersi ma quell’idea di copyright deve uscire di scena. Il capitalismo, questo capitalismo, non riuscirà a capire perché oggi gruppi di persone si trovano, in rete, partendo da interessi comuni. Non riuscirà a capire che molti lo fanno anche solo per pura passione, non riusciranno a capire che si possono creare prodotti no profit. Che servono a tanti, senza produrre speculazione”.

 (*) per saperne di più http://bitcoin.org/ http://it.wikipedia.org/wiki/Bitcoin

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