Giacomina Cassini - Non riesco ad essere né felice né orgogliosa per il Premio Nobel per la pace assegnato all’UE. Né come cittadina europea, né come persona che ha speso il 90% della sua vita cercando di coltivare per sé e negli altri la comprensione per l’eccezionalità storica del processo di integrazione europea e per le sue potenzialità.
Anzi, provo malessere e vergogna per una creatura che ho visto rovinarsi nel tempo, vittima degli egoismi incrociati delle sue componenti, colpevole di coltivare una memoria corta, incapace di guardare in faccia alla realtà e di capire che il mondo stava cambiando, instupidita da un orgoglio retorico e formale per i propri valori e drogata di un solipsimo improponibile ieri come oggi.
Forse altri, molto più bravi, più costanti e più competenti di me, troveranno una motivazione sostanziale a questa attribuzione.
Io non la vedo, nemmeno se sconto che i criteri della Commissione che assegna il Nobel per la pace sono quasi sempre piuttosto oscuri o immagino che la Commissione in questione abbia, invece, quella particolare memoria dei malati di Alzheimer che fa loro ricordare lucidamente fatti di 50/60 anni fa (la fondazione della CEE, per esempio...) e cancellare totalmente quelli degli ultimi anni, mesi, giorni e ore. Il processo di integrazione è ai suoi minimi storici ormai da alcuni anni. La solidarietà e la “comunitarietà” delle decisioni sono di molto inferiori a quelle che si vivevano e praticavano negli anni in cui la “creatura” era ancora chiamata Comunità ECONOMICA Europea.
Paradossalmente, man mano che l’acronimo attribuito al processo di integrazione si depurava delle componenti economiche e di mercato e veleggiava verso concetti più alti e politici, la finalità ideale lasciava sempre più il passo ad una priorità economica, poi monetaria e infine bancario-speculativa che ha completamente disilluso gli europei, declassati a consumatori e tax-payers e colpevolizzati, in questa ultima veste, di ogni male macroeconomico compiuto nei loro paesi (ricordiamo solo l'astio e gli insulti più o meno velati, indirizzati ai Greci), anche se, nel frattempo, eravamo tutti diventati “cittadini europei” col Trattato di Maastricht. Il principio di coesione economica e sociale è stato accantonato per far emergere, soprattutto a partire dall’inizio ufficiale della crisi nel 2008, una strategia malthusiana per cui chi non ce la fa deve solo essere bastonato e abbandonato lungo la strada. Strategia applicata sistematicamente tanto a livello dell’Unione quanto dentro i singoli paesi con una regia – è inutile dirlo – che parla la lingua di Goethe.
Non vedere, in questa deriva, le premesse perché il tessuto di pace della storia dell’UE continui a logorarsi fino a spezzarsi e a dissolversi è il grande delitto che oggi accomuna i leader europei. Tutti. Non so chi abbia proposto l’UE per il premio. So che io non avrei firmato una petizione in quel senso. Qualcuno pensa che sia una mossa politica per sostenere l’UE e aiutarla ad uscire dalla crisi generale in cui è piombata. Altri dicono che è un’astuta e contorta strategia dei soliti centri di un’improbabile Spectre americana per affossare l’UE del tutto, anche sul piano dell’immagine. E'una discussione che non mi appassiona come quella su chi, materialmente, ritirerà il premio. Il depresso non ha voglia di discutere.Il depresso legge e trova ulteriori giustificazioni per il suo stato... I Presidenti della Commissione e del Consiglio dell’UE, infatti, hanno rilasciato una dichiarazione granguinolesca e roboante che testimonia, nello stesso tempo, l’ottusa vuotaggine dei loro gost-writers e la loro personale inettitudine: avrebbero almeno potuto dire “oggi meritiamo il Nobel per la pace meno di quanto lo meritassimo nel 1958, ma faremo di tutto perché siano prese presto decisioni che dimostrino che lo spirito originario vive ancora e che l’Unione la costruiamo per i cittadini e con i cittadini non per i mercati e le banche”. Ma questo è chiedere troppo, vero?
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